Hìa un da - toponomastica e leggende

a cura di Paola Martello

L’Altopiano dei Sette Comuni, affascinante e sorprendente, è costellato da minacciose voragini, da profonde grotte e ha poche alte montagne pietrose. Esso non ha storie che raccontano di paesi inghiottiti dalle frane, di aguzze e nude crode che assumono colori particolari nelle varie ore del giorno o di ghiacciai eterni. Il suo territorio montano e soprattutto la sua toponomastica porta i segni dell’antica lingua “cimbra” e la sua conformazione geomorfica ha originato leggende per molti aspetti diverse rispetto ad altre zone alpine. I personaggi fantastici, creati dall’immaginazione delle popolazioni, si sono adeguati alle zone assumendo caratteristiche appropriate all’ambiente. Per fare un esempio, sull’Altopiano sono quasi inesistenti le leggende che parlano di “giganti”, tipiche invece dei paesi che si trovano vicini ad alte montagne come l’Antelao, l’Ortles e il Latemar. I personaggi magici delle montagne di Asiago che amano vivere in luoghi lontani dai centri abitati sono i solitari sanguinelli e gli orchi.

 

Cercando nella toponomastica dell’Altopiano si tovano molte alture chiamate perch o perck, termine che in cimbro vuol dire monte (Nota: nel Dizionario della Lingua Cimbra dei Sette Comuni Vicentini di Umberto Martello, monte è pèrg).

Una storia già accennata in questo spazio riguarda il monte Bi che sovrasta, ma non incombe, sul capoluogo Asiago. L’altura ha una forma arrotondata dove dei sentieri dal fondo bianco disegnano in modo bizzarro una grande Bi. La montagna un tempo si chiamava Katz o Catz, e cioè gatto nell’idioma cimbro. Può essere che questo antico nome sia legato alle leggende che seguono.

Si narra che su quella montagna ci sia una grotta con sette porte. Ogni qual volta se ne apre una si verifica un fatto molto spiacevole nei dintorni. Un’altra storia parla di un orco o del terribile Jgerjäger prigioniero nella grotta. Lo Jgerjäger, diversamente dall’orco, è nemico delle fate chiamate Zelighen Baiblen e delle streghe. Egli le caccia per sopprimerle. Però anche lui ha paura di un animale: il gatto nero. Entrambe le leggende parlano quindi di un gatto custode del luogo e si chiudono con la minacciosa frase: Il gatto è dentro che sbarra le porte, ma se le apre… skilit skalot.

Al monte Verena è legata la storia di una fanciulla di Roana cagionevole di salute che un giorno dà riparo e da mangiare a due Zelighen Baiblen o Beate Donnette. Per ricompensare la generosità della ragazza le piccole fate la consigliano di vivere d’estate sulla montagna e ogni mattina salutare il sole con una formula magica. La ragazza segue il suggerimento e diventa bella e sana. Non contenta di quello che ha ottenuto ritorna sul monte Verena per essere ancora più seducente, disubbidendo a ciò che avevano ordinato le fate che la puniscono facendola scomparire.

I monti nascondono le abitazioni di alcuni personaggi fantastici. Sul Monte Portule vivono i malvagi elfi neri, tra i labirinti di pini mughi che coprono i suoi fianchi.

Ai Castelloni di San Marco, nei dedali di rocce, trovano rifugio i sanguinelli, spiritelli vestiti di rosso. Chi pesta le loro impronte, per un arcano sortilegio, è costretto a seguirle perdendo l’orientamento. Gli spiritelli fanno smarrire le loro vittime tra le alte cime dell’Altopiano.

Un sanguinello è il protagonista di una leggenda che riguarda il Monte Lemerle (Lemerle = piccola distesa di sassi) di Cesuna. Un povero boscaiolo che lavorava lassù aveva pestato le orme del folletto burlone e iniziò a seguirlo senza potersi ribellare. Accortosi di essere sotto l’effetto di un sortilegio, si sedette fino a quando un suo amico, passando di là, lo tolse dalle impronte del sanguinello, salvandolo.

Ogni due anni, sopra Cima XII vola un lungo serpente. Esso arriva dalla Val Sugana, fa un largo giro sul monte per poi dileguarsi nel cielo azzurro, verso altri orizzonti.

Sul Monte Nos di Gallio e precisamente all’Etzenplatten, nelle notti di plenilunio si radunavano le streghe per i loro sabba. Un giovane coraggioso andò a curiosare e vide che le megere si trasformavano, durante i loro balli sfrenati, in mostri orrendi somiglianti ad animali. Il ragazzo si fece sorprendere e fu catturato dalle streghe. Quella notte si scatenò un fortissimo temporale che sradicò molti alberi facendoli ruzzolare a valle assieme a molte pietre. Il mattino dopo, sopra i detriti portati giù dalla forza dell’acqua, emersero dei grandi massi con forme in atteggiamenti strani. Qualcuno disse che erano le streghe e il ragazzo pietrificati. Erano state punite così la malvagità delle megere e la curiosità del giovane.

A Foza, sul Monte Fior, c’è un buco chiamato Buso del Sorlaro. Secondo alcune leggende, alla notte escono da quel foro gli spiriti chiamati Gighigeghi. I Gighigeghi, in vita, erano stati dei cacciatori che si erano comportati male o avevano combinato qualche imbroglio amoroso. Per questi motivi le loro anime, una volta deceduti, erano state confinate all’interno del Buso del Sorlaro e condannate a rimanerci. Solamente alla notte possono uscire e recarsi in Val Gadena per raccontare, con lunghi lamenti, le loro pene.

L’orchetto di Monte Chiesa, famoso per aver bevuto tutta l’acqua delle pozze d’alpeggio e del torrente Ghelpach, diventa così grande da poter mettere un piede su Monte Zebio e uno su Monte Baldo. Poi, per sfuggire alla furia degli altopianesi, si trasforma in animali vari fino a sparire nel lago che esisteva al Turcio.

Le montagne vivono e raccontano le loro storie vere o inventate. Resta però nell’immaginario popolare e fa ancora sorridere, l’idea del sanguinello burlone nascosto tra gli alberi, pronto a farci camminare sulle sue “pecche” per portarci inevitabilmente verso il monte: lassù.

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