Concia delle pelli

La comunità di Gallio si era dedicata all'arte della concia delle pelli, impiegate soprattutto per il confezionamento di scarpe fin dal lontano Medioevo, ma fu soprattutto a partire dal secolo quindicesimo che tale arte conobbe un rapido e intenso sviluppo, da quando cioè Gallio e l'Altopiano dei Sette Comuni si affidarono alla protezione di Venezia - anno 1404 - che vantava una lunga tradizione in tale settore, avendo recuperato il patrimonio di antiche conoscenze classiche integrate dalle tecniche conciarie provenienti dall'Oriente, con cui la Repubblica Veneta intratteneva assidui ed intensi rapporti commerciali.

L'attività conciaria a Gallio era favorita dal grande numero di velli e manti di animali che la popolazione allevava, dalla ricchezza delle acque disponibili e dalla forte quantità di materiale tannante insito nella rigogliosa vegetazione boschiva.

Sembra altresì accertato che l'arte della concia a Gallio venne favorita anche dal fatto che i conciatori bassanesi vennero impediti da una ordinanza comunale a riversare nelle acque del Brenta i residui della lavorazione delle pelli per non inquinarle; a fronte del divieto comunale, i conciatori bassanesi non trovarono di meglio che affidare la concia delle pelli ai conciatori di Gallio, ritirandole una volta conciate onde avviarle alla lavorazione. Se durante il Medioevo tale attività poteva soddisfare un numero limitato di richieste, a partire dal secolo decimo, quando si registrò un costante incremento demografico su tutta l'area dell'Europa occidentale, con conseguente ripresa della vita urbana e crescita dell'economia commerciale, l'industria conciaria conobbe un primo notevole sviluppo. C'era dunque una grande necessità di materia prima, cioè di pelli di animali di diverso tipo. Una parte della domanda veniva, ovviamente, soddisfatta dall'utilizzazione delle pelli di bestie macellate in loco per venire incontro ai bisogni alimentari della popolazione; una parte rilevante della domanda, invece, poteva essere soddisfatta solo grazie all'importazione dai mercati principali del settore, quali erano i porti di Barcellona, Valenza, Maiorca, Napoli, Pisa, Genova e Venezia appunto. Oggetto di tale commercio erano tanto pelli grezze quanto quelle semilavorate. Da Venezia, dunque, i conciapelli o ;pellizzari; di Gallio si rifornivano di pelli per sostenere la propria attività.

Come si riferiva sopra, l'attività della concia a Gallio era favorita dalla massiccia presenza sul proprio territorio di boschi e di acque. L'estensione boschiva permetteva dapprima alla comunità galliese di vendere il proprio legname a Venezia e con il ricavato acquistava le pelli da conciare, che, una volta conciate, venivano rivendute proprio a Venezia con enorme beneficio dell'economia locale. Il legname, poi, forniva la corteccia, che era il materiale di base tipico dei conciapelli di Gallio. Questa fornisce cuoio compatto di colore nocciola chiaro e buon odore resinoso. Per quanto riguarda poi l'acqua, altro elemento indispensabile alla attività della concia, Gallio ancora oggi annovera due ricche sorgenti, che fornivano l'acqua necessaria per sostenere le sue concerie: quella della Covola, posta ai margini orientali dei paese, proprio agli inizi della Val Frenzela, e quella della Valle del Pakstal a nord del centro abitato. Anche attualmente gli anziani di Gallio per indicare l'imbocco della Valle del Pakstal usano il termine;garberie; voce di origine tedesca che significa appunto;conceria; (gerberei), in quanto nella valle fino alla prima Guerra Mondiale e anche dopo funzionavano alcune concerie, fra cui quelle della Ditta Finco; Sissa.

Quante furono le concerie a Gallio? C'è da dire che le concerie di Gallio hanno conosciuto nel tempo vicissitudini alterne, con momenti di espansione seguiti da altri di contrazione. Circa la loro consistenza numerica non si dispone di documenti che coprano tutto l'arco di tempo della produzione, a partire dal secolo quindicesimo fino agli anni '30 del ventesimo secolo. L'attività della concia è durata fino alla vigilia della prima guerra mondiale per riprendere nel periodo postbellico in modo alquanto languido, e cessare definitivamente all'alba degli anni trenta. Oggi di quella gloriosa industria non è rimasto niente: si possono solo ammirare i ruderi degli opifici situati lungo il pendio della Covola al di sotto della sorgente omonima, ruderi che recentemente sono stati recuperati a cura dell'Amministrazione Comunale in ricordo non solo di un'attività senz'altro illustre, ma anche delle fatiche e delle sofferenze, che fino a pochi decenni fa hanno fatto tribolare la gente di Gallio.

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